Pagella scolastica dei figli: alcuni consigli per i genitori

 

Qual è l’atteggiamento migliore quando il bambino/ragazzo porta a casa la pagella?Quali sono le reazioni sbagliate che occorre evitare?

“Calcio, mentre i figli giocano i genitori si picchiano in tribuna”, così titolava un quotidiano qualche tempo fa. L’increscioso episodio è avvenuto al cospetto dei figli che osservavano increduli la scena dal campo.  In una società competitiva, che esalta l’approccio prestazionale alle cose ed in cui l’importante è vincere, mai partecipare, è necessario evidenziare esplicitamente la differenza tra il valore dei risultati ottenuti e quello di nostro figlio. In questo modo si evita che un bambino che non ha bei voti si identifichi con quelli, con un effetto negativo sulla propria autostima.

Questo atteggiamento è consigliabile anche nel caso di una pagella con voti alti, per evitare che il bambino scambi la stima dei genitori per se stesso con quella per i risultati ottenuti.

Molti bambini in cerca di riconoscimento affettivo da parte dei genitori, infatti, sembrano intimamente convinti di poter essere amati solo se considerati “bravi”, con una conseguente inibizione della propria libertà di espressione.

È fondamentale valorizzare sempre l’impegno che nostro figlio ha investito nella scuola, al di là dei risultati.
La consegna delle pagelle potrebbe trasformarsi in un’opportunità di confronto con nostro figlio, su pensieri ed emozioni che i risultati ottenuti hanno stimolato in lui. Molto spesso ciò di cui si preoccupano maggiormente i figli è l’effetto che i loro voti hanno sui genitori, come se il loro amore fosse condizionato in qualche modo dagli esiti delle loro attività. È per questo stesso motivo che talvolta bambini o adolescenti paiono demotivati, pigri o addirittura completamente disimpegnati rispetto all’investimento scolastico: in realtà stanno inconsciamente evitando di confrontarsi con il delicato tema dell’appartenenza affettiva (“Se non mi impegno abbastanza so che non avrò successo perché non l’ho voluto e non perché non sono in grado e perciò perché non sono degno di amore”).

Questo può farci capire come spesso, dietro ad apparenti difficoltà scolastiche, si annidano questioni più ampie e complesse, come la relazione genitori-figli e l’autostima.

Pensare che io sarò amato solo se ho successo è “rischioso” anche nelle possibili fasi oppositive che i figli possono attraversare in adolescenza: per ferire o far arrabbiare i genitori potranno allora anche boicottare i propri percorsi personali.

Sarebbe importante invece accompagnarli in un processo di consapevolezza e auto-responsabilizzazione, ovviamente commisurato alle differenti età, che li aiuterà a costruirsi come persone più salde, più vicine ai propri bisogni e desideri e quindi anche più disposti a lavorare per realizzarli.

È giusto o no premiare con un regalo i bei voti?

Perché no? Il premio sarà legato all’impegno investito nello studio, che ha portato a buoni risultati. Non esistono vademecum e perciò ogni genitore deciderà in base alle diverse situazioni vissute e a ciò che sente, ma un’impostazione educativa che premi in caso di riuscita risulta certo più efficace di una che punisca in caso di fallimento.

Se la pagella racconta di un disastro scolastico, che domande dobbiamo porci e chi ci può aiutare?

Se di “disastro scolastico” si tratta, la famiglia non viene in genere colta di sorpresa perché dovrebbe essere già stata informata delle difficoltà incontrate dal figlio nei periodi precedenti, nei momenti di confronto con gli insegnanti, che rappresentano un momento importante in cui raccogliere informazioni sul comportamento del figlio a scuola, oltre che per costruire un rapporto di fiducia con il corpo docente. Questa alleanza risulta fondamentale perché i nostri figli ricevano messaggi educativi coerenti e perciò rassicuranti.

E invece negli ultimi anni si è passati da un atteggiamento fin troppo compiacente da parte dei genitori nei confronti degli insegnanti, che non lasciava spazio adeguato alle opinioni o alle posizioni dei figli, a uno che al contrario assume totalmente la prospettiva dei figli, senza senso critico obiettività. Questo spesso nutre un clima di sfiducia reciproca fra scuola e famiglia, in cui gli unici a pagare sono i nostri figli, che non trovano il necessario contenimento ed acquisiscono un potere incongruo che non gli spetta.

Se esistono reali difficoltà scolastiche perciò il primo interlocutore è senza dubbio la scuola, che,  attraverso gli insegnanti può dare utili informazioni sulla situazione scolastica del figlio e offrire indicazioni su possibili approfondimenti da fare: un disturbo dell’apprendimento non riconosciuto può provocare per esempio forti tensioni e frustrazioni in un bambino che ne soffre, che potrà reagire con disaffezione verso lo studio e atteggiamenti oppositivi verso gli insegnanti. Le prime “indagini” da compiere riguardano la natura delle difficoltà legate all’apprendimento, il comportamento del bambino rispetto all’autorevolezza dei docenti e rispetto al gruppo dei pari, per avere un quadro completo e poter leggere con cognizione le possibili motivazioni che hanno portato a risultati insufficienti.

Perché si sviluppa tutta questa tensione nei genitori?

Per molte ragioni diverse: ad esempio alte aspettative rispetto ai risultati didattici dei figli o la preoccupazione di non riuscire a dare loro il giusto supporto al percorso scolastico.

In certe situazioni i genitori vivono la scuola come un banco di prova delle proprie competenze genitoriali, rischiando di identificarsi fin troppo con i propri figli: “Se mio figlio non è bravo, io mi sento un genitore inadeguato”. Questo tipo di approccio può condurre i genitori ad anteporre le proprie aspettative, alle necessità dei figli ed impedisce di sviluppare un equilibrato sentimento empatico nei loro confronti, perciò di coglierne ed accoglierne i reali bisogni evolutivi.

Consigli per i genitori per cogliere segnali di disagio nel bambino/ragazzo e segnalarsi al professionista

I bambini, ma anche gli adolescenti, spesso tendono ad esprimere i propri disagi attraverso sintomi comportamentali, piuttosto che esprimerli apertamente. Dobbiamo perciò osservare i nostri figli e notare se ci sono stati cambiamenti significativi rispetto al “solito” rendimento scolastico, alla motivazione ad andare a scuola o se esprimono particolare fatica nello svolgere i compiti. Va compiuta una valutazione anche del comportamento del bambino nei diversi ambienti, per evidenziare eventuali difficoltà legate a un contesto specifico. Possibili sintomi fisici legati a disagi psicologici possono essere cefalea, vomito e mal di pancia senza che vi sia un reale riscontro medico di malattia, piuttosto che difficoltà ad addormentarsi e ad alimentarsi come prima.

(L’articolo è stato pubblicato sul Blog Firenze Formato Famiglia)

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